In ottemperanza alle disposizioni anticovid del Governo e della Regione, il Sindaco di Castelnuovo di Farfa, Luca Zonetti, e i rappresentanti locali di CGIL e ANPI hanno deciso di rinviare al 25 aprile 2021, Festa della Liberazione, la manifestazione “Per Non Dimenticare” che ogni anno si tiene all’ex Campo di Concentramento di Farfa per celebrare il Giorno dedicato alla Memoria della Shoah.
Che cos’è il Campo di Farfa?
Collocato a metà strada tra il borgo di Castelnuovo e l’Abbazia di Farfa, nella provincia di Rieti, a 50 km circa da Roma, il campo d’internamento di Farfa entrò ufficialmente in funzione nel giugno 1943, con una capienza di 2.700 persone. Il Ministero dell’Interno aveva ipotizzato di trasferirci buona parte degli internati del campo di Ferramonti (Cosenza), il principale campo italiano per ebrei. Nel settembre del 1943, quando alla notizia dell’armistizio il personale di guardia abbandonò le proprie postazioni, nel campo erano detenute circa cento persone, di cui molti ebrei stranieri, che si dettero alla fuga. Lasciato in stato di abbandono fino alla fine del conflitto, nel dopoguerra divenne un centro di raccolta profughi e negli ultimi decenni un deposito della Polizia di Stato. «La memoria batte nel cuore del futuro, è il patrimonio sul quale costruire il futuro dei nostri figli.» È quanto hanno sostenuto i rappresentanti reatini di CGIL e ANPI durante le celebrazioni del Giorno della Memoria al Campo di Farfa.
Perché un giorno dedicato alla memoria della Shoah?
Il 27 gennaio di ogni anno si celebra in tutta Italia e in molti paesi il “Giorno della Memoria”. Nell’anno 2000 il nostro paese lo fissò simbolicamente nel giorno in cui, nel 1945, erano stati abbattuti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz. Un momento dedicato al ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebraico: uno dei momenti più neri della storia dell’uomo. Una giornata per ricordare che durante la seconda guerra mondiale, milioni di uomini, donne e bambini furono perseguitati in nome delle leggi razziali: strappati alla loro vita, deportati nei lager, sterminati con il gas. Tra questi, solo pochissimi fecero ritorno a casa. Non possiamo parlare di memoria senza parlare dei campi di concentramento. Tra il 1933 e il 1945 i nazisti costruirono circa ventimila campi di concentramento: in alcuni, le vittime erano impiegate nei lavori forzati; altri campi erano di transito. Poi c’erano quelli costruiti per l’eliminazione di massa. I nazisti e i loro complici assassinarono milioni di persone nei campi di sterminio. Per portare a compimento la cosiddetta “soluzione finale” essi realizzarono numerosi lager in Polonia, il paese con il più alto numero di cittadini ebrei. Il primo fu quello di Chelmno, aperto nel dicembre del 1941. Qui gli ebrei e i rom furono sterminati con il gas di scarico all’interno di furgoni appositamente modificati. Nel 1942 entrarono in funzione i “campi” di Belzec, Sobidor, Treblinka. I nazisti concepirono e fabbricarono poi le camere a gas per rendere più veloce ed efficiente lo sterminio. Ad Auschwitz-Birkenau lavorarono ininterrottamente quattro enormi camere a gas, ogni giorno vi venivano uccisi seimila ebrei. Dachau, Auschwitz, Birkenau: nomi che vorremmo dimenticare. Simboli dell’orrore infinito che proprio per questo dovrebbe essere inciso nella nostra memoria. Le azioni erano mostruose ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco, né mostruoso. A questo serve il Giorno della Memoria. E’ ricordare, non dimenticare questa terribile storia; non accettare questa “normalità” che tanti, allora accettarono. Mai nella storia dell’umanità si è progettato, con freddezza e determinazione, lo sterminio di un popolo. Mai si è pianificata l’eliminazione di milioni di persone, studiando e cercando le formule dei gas più “efficaci”, progettando i ghetti nelle città occupate, costruendo i lager, predisponendo la complessa rete dei trasporti. Un orrore fatto sistema. Questa la differenza con le altre carneficine che la storia ci ricorda. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, furono le parole di Primo Levi, che sono un monito. Il dramma della Shoah non deve essere dimenticato, ma deve essere narrato alle nuove generazioni. Ecco perché il dovere della memoria; ecco perché un giorno dedicato alla memoria: quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo, parole indelebili quelle dello scrittore e filosofo spagnolo George Santayana. Enormi e imperdonabili furono le colpe di quanti collaborarono o scelsero il silenzio. Eroiche le azioni, spesso rimaste sconosciute, di quanti rischiarono la vita per salvare gli ebrei dalle deportazioni. Accanto al termine memoria dobbiamo condividere quello dei luoghi della memoria. Lapidi, musei, monumenti, cippi e cimiteri raccontano i luoghi dove i fatti storici sono avvenuti. Luoghi che stimolano ricordi e provocano emozioni che si rinnovano nella memoria collettiva. E’ la memoria trasmessa dai testimoni, fino al termine della loro vita, a quelli che non vissero gli avvenimenti, ma sentono la necessità e la volontà di tramandare tali ricordi, affinchè i fatti storici che hanno caratterizzato la vita della collettività non vengano dimenticati. E’ l’oblio il nemico della storia, guai a sottovalutare l’importanza dell’insegnamento della storia. Cosa saremmo noi italiani senza la storia delle nostre origini e delle nostre tradizioni, senza il racconto degli accadimenti dal Risorgimento alla Resistenza, con i successi e le sconfitte, che ci hanno permesso di chiamarci popolo, di sentirci nazione e di esserne degni davanti agli altri popoli del mondo. In particolare, la memoria come dovere e monito nasce in Europa e nel mondo, dopo qualche decennio dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo un periodo nel quale forse il bisogno più forte delle persone era stato quello di dimenticare, per andare avanti e superare lo shock. Il dovere della memoria nasce quando si comprende l’importanza di ricordare per far sì che l’aberrante genocidio di milioni di persone, compiuto dal nazismo, non possa più ripetersi, come i superstiti della Shoah hanno ricordato per decenni senza stancarsi, fino alla fine dei loro giorni, facendo risuonare l’eco delle parole di Elie Wiesel, quando disse che “chi ascolta un superstite dell’Olocausto diventa a sua volta un testimone”.
Giuseppe Manzo